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Data Notizia
17/12/2020

L'immaginazione e la memoria al tempo del covid-19

In vista del nuovo anno, ci è sembrato doveroso salutare il 2020 con la selezione di tre pellicole. Storie di dolore, ma storie vere, mentre una pandemia che non ha eguali da un secolo ci impone, dopo i tanti lutti, di trovare la strada per una rinascita. Ci aiuterà il cinema proponendoci qualche confronto?

 

Ramon Sampedro, da ragazzo, si era tuffato nell’oceano tra gli scogli della costa galiziana e la risacca lo aveva sbattuto con violenza sulle rocce. Così, da trent’anni si trova su un letto da dove parla, ascolta, guarda, ma è paralizzato nel resto del corpo. Vittima di un destino troppo duro è comprensibile che, dopo un così lungo tempo, gli venga a mancare la volontà di resistere. Decolla, con l’immaginazione, dalla finestra della sua prigione e vola lontano, nel sole e nell’aria pulita (non quella malata della sua stanza), vola lontano dalle flebo, dalle pillole e dalle miserie della sua immobilità. Sorvola i prati, le colline verdi e corre assieme al fiume, velocemente giù per la stretta valle, giù fino alla riva del mare, dove il vento scompiglia i capelli della sua innamorata che lo accoglie con un tenero abbraccio. Ma è un sogno. È il frutto di un’immaginazione ormai stremata dallo stesso ricordo. La memoria, un tempo consolatrice, ormai lo intossica, e si fa strada un pensiero: che “la vita sia un diritto, non un obbligo”. Sente che non potrà vivere di sogni fino al decadimento estremo, pesando sempre sulla famiglia che lo assiste. Inizia allora una battaglia legale per il diritto di morire dignitosamente, soprattutto per proteggere da un’incriminazione la persona che lo dovrà aiutare a essere libero.
 

La storia vera di Ramon, Mare dentro, che ha resistito trent’anni prima di rinunciare al bene supremo, la sua vita, può forse aiutare noi. Noi, se scamperemo all’epidemia in possesso di tutte le nostre facoltà vitali, noi se potremo uscire dalla reclusione e ritrovare nel sole e nell’aria pulita (reali, non quelli di Ramon), l’ispirazione per ricominciare. Contando su noi stessi, soprattutto, qualunque sia l’entità del “ristoro” che lo stato ci potrà assegnare. Quando mai è accaduto che i momenti di crescita fossero frutto della routine ovattata dalle tante garanzie di un percorso protetto? Vincere ostacoli, difficoltà e antagonismi non ha rappresentato, da sempre, il magico propellente per far emergere la forza del carattere e dare il meglio si sé?
 

Altra storia è quella di Philippe, aristocratico francese che, praticando il parapendio, infortunato, si ritrova come Ramon: paralizzato dal collo alla punta degli alluci. Incapace di sopportare la commiserazione, trova sollievo accompagnandosi a Driss, un badante-autista senza patente, africano d’origine, che, incurante di ogni prescrizione, lo coinvolge in peripezie, anche pericolose, che non avrebbe mai sperimentato in compagnia del più diligente degli infermieri. “È gente pericolosa – gli dice un amico per dissuaderlo – non ha nessuna pietà”. “È esattamente quello che voglio”, lo rassicura Philippe. “Nessuna pietà”. 

 

Si tratta di Quasi amici, un’altra storia vera. Conoscendo, di Driss, solamente le origini africane, ci piace volare col pensiero agli afroamericani subito dopo l’abolizione della schiavitù. Quando non valevano più nulla perché nessun padrone aveva investito un solo dollaro per acquistarli. Chiunque poteva insultarli, percuoterli, chi li uccideva se la cavava a buon mercato. Ebbene questa gente, dopo aver lavorato dall’alba al tramonto nei campi di cotone, alla sera si riuniva nei retrobottega o dovunque potesse liberare il ritmo che aveva nel sangue con qualsiasi strumento di fortuna. Uno spago teso su una zucca vuota, la carta sopra al pettine o la washboard, l’asse per lavare i panni. E ballavano fino a poche ore prima dell’alba, quando le mani avrebbero ricominciato a sanguinare nel cotone. Disperata, folle, prepotente voglia di vivere di ex schiavi: il coraggio ritrovato nell’allegria. Settant’anni prima di Obama, Alan Lomax, il grande sociologo che li spiava nelle notti del Mississippi, diceva: “Questa gente, un giorno, primeggerà nel mondo”. Driss, nel film e nella vita, è stato soltanto un badante-autista senza patente. Ma esiste valore più alto di chi riesce a strappare sorrisi e franche risate a chi aveva in mente soltanto la voglia di morire?


Servirà questa pandemia, a risvegliare il nostro coraggio addormentato? Scarsa l’allegria, qui da noi, oggi. Altrettanto scarsa nel destino toccato a Jean Dominique Bauby, per gli amici Jeandò, caporedattore di una rivista di successo. Mentre corre alla guida della sua coupé nuova fiammante, infatti, Jeandò ha un ictus. Intatta l’intelligenza, gli rimane vivo soltanto un occhio. Riesce a muovere soltanto la palpebra sinistra e in quelle condizioni riuscirà a “scrivere un libro” per raccontare il suo destino.


“Cosa vorrebbe?” gli chiede un giorno la logopedista che se ne prende cura. “Voglio morire” le manda a dire con l’unico occhio sano. Anziché compatirlo la ragazza lo tratta duramente: “E quelli che le vogliono bene? E io che sono qui per aiutarla? È una mancanza di rispetto. È osceno!”


Allora comincia a emergere dal buio la volontà di resistere. Con la complicità della ragazza impara un linguaggio costruito sul semplice aprire e chiudere la palpebra. “Ho deciso di non compatirmi mai più – le manda a dire – ho scoperto che ho altre due cose che non sono paralizzate: l’immaginazione e la memoria”. E qui noi spettatori sperimentiamo ancora una volta cosa può arrivare a dire il cinema, la sequenza è breve ma la pelle d’oca è assicurata. Comincia la singolare dettatura, una lettera alla volta il libro vien fuori, milioni di micro-messaggi, con testardaggine. “Lo scafandro e la farfalla”, titola il film, medesimo titolo il libro, che uscirà dieci giorni dopo la morte di Jeandò. “Ero cieco e sordo. Mi serviva la luce dell’infermità per vedere la mia vera natura”. Dell’esistere, dunque, qualunque sia il frammento di vita residuo, saper gustare il sapore. 

 

Uno che collabora a questa piccola newsletter - e che da quasi trent’anni diffonde notizie sull’età anziana - ipovedente, salvo un miracolo del chirurgo, potrebbe essere destinato a perdere quel po’ di vista che gli rimane. Dice: “C’erano da sempre, le nuvole, andavano per la loro strada, io per la mia senza vederle. Ora che le ho scoperte dico: “Dio, che meraviglia! Che meraviglia le nuvole!”

 

  • MARE DENTRO – Spagna 2004 di Alejandro Amenabar con Javier Bardem, Belen Rueda, Lola Duenas, Mabel Rivera
  • QUASI AMICI (Intouchables) – Francia 2011 di Olivier Nakache e Eric Toledano”con Francois Cluzet, Omar Sy, Anne Le Ny, Andrj Fleurot.
  • LO SCAFANDRO E LA FARFALLA – Francia/USA 2007 di Julian Scnhabel con Matheiu Amalric, Emanuelle Seigner, Marie Josée Croze, Anne Consigy

A cura di F.M.


(Tratto dall’articolo )

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