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Data Notizia
18/05/2023

L'intelligenza artificiale e la medicina

Il contributo di Marco Trabucchi

 

In questi mesi è esplosa l’attenzione in tutto il mondo attorno alle problematiche poste dall’intelligenza artificiale. Molti entusiasmi, molte incertezze, molti richiami alla prudenza. Si ha l’impressione di grandi potenzialità derivanti dalle nuove tecnologie, ma anche di rischi che potrebbero superare i vantaggi; si aggiunga la particolare condizione nella quale stiamo vivendo, caratterizzata dalle paure per il possibile ritorno di un’epidemia come il covid-19 e dalla guerra in Ucraina, che pongono enormi interrogativi sul futuro della nostra convivenza e sul supporto che le tecnologie nei vari campi possono dare alla vita delle persone.

 

In quest’atmosfera di generale incertezza si inserisce quella specifica sul ruolo dell’intelligenza artificiale in medicina. Sarà davvero una rivoluzione della quale potremo beneficiare su tutti piani, da quello preventivo, a quello delle malattie acute e di quelle croniche? Non si rischia forse di affidare all’intelligenza artificiale compiti e ruoli che dovrebbero invece essere di operatori umani, in nome di un’efficenza che nasconde il disperato bisogno che oggi hanno i sistemi sanitari a tutti i livelli e in tutti i paesi di risparmiare? A queste domande è difficile dare risposte fondate, soprattutto perché lo scenario delle tecnologie da una parte, e quello psicosociale dall’altra, è in movimento continuo. Come costruire ipotesi quando dai laboratori di tutto il mondo escono senza sosta nuove indicazioni, le quali, tra l’altro, rischiano di diffondere nuove incertezze e nuove paure nella popolazione? E anche nuovi entusiasmi, che però non sono convincenti per larga parte dei cittadini?

 

Schematicamente ritengo opportuno dare alcune indicazioni, riservandomi di continuare a seguire la problematica nelle prossime newsletter, con l’obiettivo di aiutare gli amici della Fondazione Leonardo a farsi una propria idea e quindi a crearsi un proprio autonomo spazio di riflessione.

 

Un primo aspetto particolarmente delicato, e quello che forse interessa di più il cittadino, è il rischio che progressivamente le nuove tecnologie sostituiscano il medico e gli altri operatori sanitari. È un’ipotesi realistica; non dobbiamo però attribuirne la responsabilità agli operatori sanitari e dell’assistenza in generale, quasi volessero sottrarsi ad un compito fondamentale nel processo di cura. In questa prospettiva la responsabilità è affidata alla politica e agli alti livelli decisionali, che dovranno porsi una domanda ineludibile: fino a che punto le nuove tecnologie possono sostituire il rapporto diretto con il cittadino, senza che l’atto di cura ne subisca danni rilevanti? Per compiere una diagnosi basterà raccontare la propria storia ad un computer dotato della tecnologia ChatGPT?

 

La risposta è necessariamente negativa; infatti, la storia umana e clinica non è un elenco di eventi leggibili quasi automaticamente per essere trasmessi alla macchina. Vi sono nuanches della vita di ogni individuo che lo stesso difficilmente coglie come possibili eventi importanti per una storia clinica. Inoltre, vi sono ritrosie che impediscono di comunicare con il computer contenuti personali, oltre che informazioni non ritenute importanti, mentre all’occhio di chi ha una cultura clinica possono essere ritenute rilevanti e, quindi, obbligatoriamente da inserire in una prospettiva complessiva, la base per costruire una diagnosi e indicare le possibili risposte terapeutiche.

 

La macchina potrebbe dare risposte apparentemente logiche, solo se è in grado di cogliere i più evidenti nodi dello stato di salute. Oggi sono state fatte sperimentazioni, ad esempio, per la scrittura di tesi di laurea; hanno dato risultati apparentemente buoni. Però da quei testi manca qualsiasi giudizio clinico da parte dello studente, aspetto che dovrebbe essere ben più importante per un’eventuale valutazione di merito, di un elenco, seppur accurato, delle notizie che si riferiscono ad un determinato argomento.

 

Così potrebbe avvenire per la raccolta nella storia clinica e per la possibile risposta diagnostica, alla quale mancherebbe l’esperienza del medico e la sua sensibilità. Si potrebbe dire che è una diagnosi “senz’anima”: siamo disposti come cittadini che hanno un problema di salute a rinunciar all’”anima” del medico, che entra in contatto con la nostra, impaurita, incerta sul futuro, spesso gravemente angosciata? Pensiamo al momento della comunicazione della diagnosi: se è benigna il sorriso del medico diventa anche il sorriso del malato, che intravvede la fine delle sue sofferenze. Se, invece, è infausta, e quindi l’inizio di un lungo itinerario di cure e di fatiche, la presenza di un medico che assicura, spiega e soprattutto garantisce, per quanto possibile, un accompagnamento è motivo per un sorriso in mezzo ad una tempesta. Però ne abbiamo diritto!

 

Penso che questi accenni al rapporto con gli operatori sanitari e al ruolo dell’intelligenza artificiale possa dare adito a qualche interrogativo, al quale potremo, se ne siamo capaci, di dare risposte. In ogni modo, nelle prossime puntate affronteremo i vantaggi certi che le nuove tecnologie offrono sul piano strettamente tecnico.


(Tratto dall’articolo )

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