Fondazione Leonardo
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Audiovisivo
Regia
Curtis Simon
Titolo
Woman in gold
Con: Helen Mirren, Ryan Reynolds, Daniel Brühl, Katie Holmes, Tatiana Maslany
USA, Gran Bretagna, 2015, min.110
Arte, creativitÃ
Memoria
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Woman in gold
Le nostre recensioni
“Woman in gold” racconta la vera storia di Maria Altmann. Nata in Austria nel 1916 e figlia di una ricca famiglia ebrea, Maria è costretta a fuggire negli Stati Uniti durante il regime nazista, per evitare la deportazione. Durante l’infanzia e poi nella giovinezza, la posizione sociale della sua famiglia le aveva consentito di frequentare i più famosi artisti dell’epoca: musicisti, pittori e artisti erano soliti frequentare il suo salotto. Uno di questi era il celeberrimo Gustav Klimt, molto caro alla famiglia anche per aver acconsentito a ritrarre la zia di Maria, Adele, in quella che sarebbe poi diventata una delle opere più famose della pittura moderna: “Ritratto di Adele Bloch-Bauer I”.
La maggior parte delle opere d’arte (e delle ricchezze) della famiglia, però, furono trafugate dai nazisti, e molte andarono ad abbellire le dimore di importanti gerarchi del regime (tra cui lo stesso Hitler). Il nome stesso del ritratto di Adele Bloch-Bauer fu cambiato in “Dama in oro” (“Woman in gold”), per nascondere le origini ebree dell’opera. Finita la guerra, le opere vennero raccolte ed esposte alla Galleria Belvedere, a Vienna, rispettando la presunta volontà della stessa Adele, morta nel 1925 di meningite. La famiglia Bloch-Bauer chiese di vedere le carte che potessero dimostrare queste volontà, ma senza successo.
Solo molti anni dopo, nel 1998, il Governo Austriaco approvò una legge per la restituzione delle opere d’arte sottratte dai nazisti. Ciò spinse l’ormai ottantaduenne Maria Altmann (insieme all’avvocato Randy Schoenberg, nipote del celebre compositore Arnold Schoenberg) ad intraprendere una lunga battaglia legale per riavere le opere appartenute alla sua famiglia. Dopo un lungo iter e aver portato in tribunale il governo austriaco dinnanzi alla Corte Suprema degli Stati Uniti, Maria Altmann riuscì a ottenere le sue opere in seguito alla decisione di un arbitrato al quale infine aderì la giustizia austriaca.
“Woman in gold” è un film sulla memoria, analizzata da più punti di vista. Il primo è quello della memoria come bene da conservare e proteggere. Maria (una Helen Mirren all’ennesima conferma della sua bravura), ottantenne caratterizzata da risolutezza e caparbietà, decide di tentare di riottenere i quadri di famiglia dopo la morte della sorella, avvenimento che la spinge a riflettere sul valore della memoria e dei ricordi. È decisa a tenere in vita i ricordi della sorella e della famiglia, per rispetto verso chi è stato e verso se stessi.
Il secondo aspetto trattato dal film è quello delle ferite lasciate dalla memoria. Dopo la fuga negli Stati Uniti, Maria non è mai più tornata in Austria. Il dolore per quello che hanno subito lei e la sua famiglia è ancora troppo vivo, e lei non ha la minima intenzione di tornare nel luogo dove ha sofferto tanto. Si convince a farlo solo al fine di riavere ciò che le era stato tolto, ma il riavvicinamento non è semplice. Prova nostalgia nel rivedere i luoghi della sua gioventù, ma la sua diffidenza (dovuta ai tanti anni trascorsi in America che hanno permesso al dolore di sedimentare) le impedisce di riconciliarvisi.
Hotel receptionist (a Vienna): “Lei è nata qui, signora Altmann?”
Maria: “Sì, sì. È così, sì. Proprio qui all’angolo.”
Hotel receptionist: “E parla tedesco?”
Maria: “Sì, ma ho scelto l’inglese.”
Così, da parte sua, il tentativo di ottenere la restituzione delle opere d’arte della sua famiglia diventa, in chiave simbolica, un tentativo inespresso di riconciliazione col paese d’origine. Tentativo che rimarrà tale, come vedremo, o che riuscirà solo in parte. Maria, infatti, si trova di fronte a due “Austrie”: una solidale con la sua causa, e una che vi si oppone con tutte le forze. Purtroppo la faccia istituzionale con cui si trova ad interagire nel processo di restituzione appartiene alla seconda categoria descritta, motivo per il quale, una volta riottenuti i quadri, Maria deciderà di portarli negli Stati Uniti con sé.
Chi invece riuscirà a riconciliarsi con se stesso e le sue origini è Randy. All’inizio del film il giovane non sembra ancora avere trovato la sua strada. Avvocato, sposato con un figlio appena nato, quando incontra Maria è reduce da una fallimentare esperienza lavorativa in proprio. Anch’egli è di origini austriache, ma non sembra badarci troppo e accetta il caso solo perché fiuta la possibilità di fare più di qualche soldo. Ma il viaggio a Vienna e lo stare a stretto contatto con Maria lo cambiano: durante la sua permanenza nella capitale europea Randy riscopre le sue origini e insieme un dolore inespresso ma presente da sempre, legato alle persecuzioni del regime. Scopriamo infatti che i bisnonni furono deportati nel campo di sterminio di Treblinka, e lì persero la vita. Randy pian piano fa sua la battaglia di Maria, che d’un tratto diventa la battaglia di tutti coloro che hanno sofferto a causa del regime nazista, ed è lui che darà la forza all’anziana signora di continuare a lottare anche nei momenti più difficili.
(di Carlo Piloni)
Per maggiori approfondimenti:
http://www.mymovies.it/film/2015/womaningold/
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